giovedì 6 marzo 2008

Utile a chi?

Il voto è uno strumento tramite il quale vengono espressi pacificamente un desiderio, un giudizio e un'intento; l'aspetto strumentale del voto è dato dal fatto che mentre il desiderio e il giudizio vengono realizzati e originati dall'elettore, l'intento si origina tramite l'elettore ma viene realizzato attraverso un eletto.
Il voto è quindi un esercizio che non trova alcun riscontro in natura in quanto, in un contesto naturale, desiderio, giudizio e intento vengono esercitati dallo stesso agente.
A questo punto è chiaro come il voto possa funzionare solo se risponde a questi tre requisiti:
- soddisfa il desiderio dell'elettore
- consente l'esercizio del proprio giudizio
- si espleta in un contesto in cui l'eletto rispetta le intenzioni rappresentate dall'elettore
Un voto è utile quando funziona; quando non funziona non è mai un voto utile.
O, quantomeno, è un processo di voto svuotato del proprio significato e utile ma solo per qualcuno.
Infatti il voto è di una certa utlità anche per lo stesso eletto ma questa utilità è un'utilità, potremmo dire, derivata, un'utilità ovviamente presente e umanamente tollerabile, ma pur sempre derivata.
Ecco il nodo: oggi si sta ponendo un accento particolarmente marcato, un accento dialettale, su quest'ultimo tipo di utilità, un utilità deteriore (in tutti i sensi), un'utilità sfoggiata con arroganza senza che alcuno sollevi un dito se non per interessi di parte.
La lingua della democrazia non tollera, non può tollerare a lungo, uno svilimento tale delle sue cadenze; a lungo andare impareremo a parlare il dialetto della democrazia, un dialetto in cui le poche parole rimaste somigliano a quelle della lingua della democrazia ma recano il significato di un'altra lingua. Che non intendiamo pronunciare nelle nostre terre.

Nessun commento: